I dazi imposti da Washington sulle importazioni di caffè dal Brasile stanno creando un’onda d’urto per l’intero settore, mettendo in discussione equilibri commerciali consolidati da tempo.
Dal 6 agosto, le esportazioni di caffè brasiliano verso gli Stati Uniti sono tassate al 50%. La mossa ha un impatto diretto sui flussi commerciali, considerando che, fino a poco tempo fa, circa un terzo del caffè verde consumato negli USA proveniva proprio dal Brasile, il più grande esportatore mondiale. Le conseguenze sono immediate: i torrefattori americani stanno riducendo o addirittura annullando gli ordini, preferendo attingere alle proprie riserve per evitare i costi aggiuntivi.
Per la maggior parte degli importatori americani, i nuovi dazi sono insostenibili. In un momento di debolezza della domanda, non possono trasferire l’aumento dei prezzi sui consumatori, e sono quindi costretti a cercare nuovi fornitori. L’alternativa più naturale è rivolgersi a Paesi dell’America Centrale e Latina con tariffe meno gravose.
Un’altra opzione, seppur complessa, è il Vietnam. Sebbene il suo caffè Robusta sia di qualità inferiore, il prezzo (circa 150 centesimi per libbra contro i 300 dell’Arabica brasiliana) lo rende ancora competitivo, anche con una tariffa del 20%. Tuttavia, non tutti i produttori americani sono in grado di modificare le loro miscele per sostituire il caffè brasiliano con quello vietnamita. La sfida per gli acquirenti statunitensi è enorme: devono trovare un modo per rimpiazzare gli 8 milioni di sacchi di caffè che solitamente acquistano ogni anno dal Brasile, mantenendo i costi sotto controllo.
Dal canto suo, il Brasile non resta a guardare e sta già cercando nuovi mercati. L’attenzione si sposta su Europa e Cina, due mercati in forte crescita. Pechino, in particolare, ha recentemente autorizzato quasi 200 nuove aziende brasiliane a esportare caffè nel suo vasto mercato interno, aprendo nuove prospettive per i produttori del Paese sudamericano.
All’inizio di agosto, i prezzi globali del caffè sono tornati a salire, e sebbene il consiglio degli esportatori brasiliani (Cecafé) attribuisca parte di questa impennata ai dazi, il quadro è più complesso. Il mercato è teso: la produzione non è sufficiente a ricostituire le scorte, che sono ai minimi storici dopo tre anni di deficit. La tensione è tale che i prezzi brasiliani si mantengono alti, nonostante la perdita del loro principale cliente. Per rassicurare il mercato, bisognerà attendere le prossime piogge autunnali, che determineranno il successo del raccolto brasiliano del 2026.