Tag: Generale

  • Raccolta delle arance Valencia in Grecia, tra scarsità d’acqua e domanda sostenuta

    Raccolta delle arance Valencia in Grecia, tra scarsità d’acqua e domanda sostenuta

    La raccolta delle arance Valencia è in pieno svolgimento in Laconia, l’unica regione della Grecia dove si coltiva questa varietà. Il settore sta lavorando a pieno ritmo per soddisfare una domanda che, nonostante le sfide, si mantiene solida. La produzione di quest’anno in Laconia è superiore rispetto alla scorsa stagione e i mercati, sia quello interno che i paesi vicini come quelli balcanici e l’Ungheria, stanno assorbendo una buona parte del prodotto.

    Tuttavia, non mancano le difficoltà. La domanda dall’Italia ha registrato una leggera flessione, sebbene siano stati risolti i problemi legati al trasporto marittimo. Il principale ostacolo per la stagione in corso è la prevalenza di frutti di calibro medio e piccolo (in particolare dal 5 all’8), una conseguenza diretta della scarsità d’acqua. Sebbene il calibro ridotto sia meno problematico per le arance Valencia, molto apprezzate per le spremute, la mancanza di frutti di grandi dimensioni limita le opportunità di mercato. Paesi come la Polonia, infatti, preferiscono agrumi di calibro superiore.

    Sul fronte dei prezzi, quelli pagati ai produttori oscillano attualmente tra 0,40 e 0,50 euro al chilo, con quotazioni più alte per i frutti di qualità superiore e senza difetti. Nonostante la concorrenza di paesi come l’Egitto e il Sudafrica, l’industria greca sta riuscendo a mantenere una buona posizione sul mercato del fresco.

    Le preoccupazioni per la carenza idrica non si limitano alla stagione in corso. I produttori temono che il problema possa ripercuotersi anche sul prossimo raccolto. Già si notano segnali preoccupanti per le varietà precoci, come le Navelina, per le quali si prevede un allegagione non ottimale e una produzione ridotta.

  • I dazi statunitensi del 30% mettono a rischio l’export di agrumi sudafricani

    I dazi statunitensi del 30% mettono a rischio l’export di agrumi sudafricani

    A partire dal 1° agosto, sono entrati in vigore i dazi del 30% imposti dagli Stati Uniti sulle importazioni di prodotti sudafricani. Questa misura, proposta in precedenza e contro la quale il Sudafrica aveva tentato di negoziare, è ora operativa e ha ripercussioni significative.

    La Citrus Growers Association (CGA) del Sudafrica aveva espresso profonda preoccupazione per l’imminente applicazione di questa tariffa, avvertendo che avrebbe messo gli agrumi sudafricani in una posizione di notevole svantaggio rispetto ad altri paesi esportatori che godono di dazi inferiori (pari a circa il 10%). L’associazione aveva sottolineato che un aumento tariffario così elevato avrebbe reso gli agrumi sudafricani “non competitivi” sul mercato statunitense, minacciando la sostenibilità del settore e i mezzi di sussistenza degli agricoltori che dipendono fortemente dalle esportazioni verso l’America.

    La CGA aveva cercato il dialogo con i governi americano e sudafricano per ottenere un accordo o un’esenzione, sostenendo che le esportazioni sudafricane non danneggiano l’agricoltura americana. L’associazione ha infatti ribadito che i prodotti sudafricani arrivano negli Stati Uniti durante la bassa stagione degli agrumi nazionali, prolungando la disponibilità di frutta fresca per i consumatori e di fatto avvantaggiando i produttori statunitensi, che vedono mantenuta la domanda di mercato tutto l’anno.

    Nonostante gli sforzi, inclusi due tentativi di negoziazione da parte del Sudafrica a maggio e giugno (il secondo prevedeva l’importazione di gas naturale e tecnologie per il fracking statunitensi in cambio di esenzioni sui dazi per acciaio e veicoli), le proposte sono state respinte.

  • L’industria del succo d’arancia brasiliana festeggia l’esenzione dai dazi USA del 50%

    L’industria del succo d’arancia brasiliana festeggia l’esenzione dai dazi USA del 50%

    I produttori di succo d’arancia in Brasile tirano un sospiro di sollievo: il loro prodotto è stato esentato dal dazio del 50% imposto dagli Stati Uniti su alcune importazioni. Il settore continuerà a pagare l’attuale tariffa del 10%, scongiurando un aumento che avrebbe potuto compromettere seriamente le esportazioni verso il mercato americano.

    Ibiapaba Netto, CEO di CitrusBR, un’organizzazione che raggruppa le principali aziende del settore, ha accolto con favore la decisione, sottolineando l’importanza di questo rapporto commerciale. “L’industria è consapevole del proprio impegno a continuare a servire il mercato americano, come ha fatto per 60 anni”, ha affermato Netto.

    Il Brasile è un partner commerciale cruciale per gli Stati Uniti, fornendo circa il 70% di tutto il succo d’arancia importato. Questa dipendenza è cresciuta esponenzialmente a causa della crisi che ha colpito la produzione agrumicola statunitense, in particolare in Florida, lo stato che in passato era il cuore dell’industria nazionale. La diffusione del greening (o Huanglongbing), una devastante malattia batterica trasmessa da un insetto, ha decimato i frutteti. Se quindici anni fa la Florida produceva 150 milioni di casse di arance, nel raccolto attuale ne ha prodotte appena 11 milioni. La malattia deforma i frutti, riduce il contenuto di succo e porta alla morte prematura degli alberi, rendendo la produzione sempre meno redditizia.

    In questo contesto, il succo d’arancia brasiliano è diventato essenziale per mantenere l’equilibrio tra domanda e offerta negli Stati Uniti. Secondo il Dipartimento dell’Agricoltura (USDA), circa l’80% del succo consumato negli USA è attualmente importato, e oltre al Brasile, anche il Messico è un fornitore chiave.

    Mentre gli Stati Uniti affrontano una crisi produttiva, il Brasile si prepara a un’abbondante stagione agrumicola. Il Fondo per la Difesa degli Agrumi (Fundecitrus) stima un aumento del 36% della produzione di arance nella principale area di coltivazione del Paese, San Paolo e la regione del Triangolo Mineiro. Si prevede che il raccolto raggiungerà i 314 milioni di casse nella stagione 2025/26, consolidando la posizione del Brasile come leader globale nel settore e partner indispensabile per il mercato americano.

  • L’allarme degli agrumicoltori europei: “Aumentare a 1 €/kg il prezzo minimo per le importazioni”

    L’allarme degli agrumicoltori europei: “Aumentare a 1 €/kg il prezzo minimo per le importazioni”

    Gli agrumicoltori europei, rappresentati dall’organizzazione spagnola La Unió Llauradora, lanciano un appello pressante alla Commissione Europea, chiedendo un innalzamento dei prezzi minimi di entrata per gli agrumi importati. La proposta è di fissare una soglia di almeno 1 euro al chilo, una misura che, secondo l’associazione, è necessaria per arginare la concorrenza sleale e sostenere il mercato interno.

    L’attuale sistema dei prezzi di entrata, considerato obsoleto, non tiene conto dell’aumento dei costi di produzione che ha colpito l’agricoltura europea. L’afflusso massiccio di agrumi a prezzi stracciati, in particolare da paesi come l’Egitto, distorce il mercato. I dati mostrano che le arance egiziane sono entrate in Spagna a un prezzo medio di 0,51 euro/kg nel 2024, ben al di sotto del valore minimo di importazione stabilito a 0,693 euro/kg. Questo fenomeno non solo crea una pressione al ribasso sui prezzi per i produttori europei, ma riduce anche la domanda per i loro prodotti.

    I produttori europei sottolineano la maggiore sostenibilità e le rigide normative che caratterizzano la loro produzione, a differenza delle importazioni da paesi terzi, che spesso non rispettano gli stessi standard ambientali, sociali e di sicurezza alimentare. L’agrumicoltura valenciana, ad esempio, non solo è cruciale per l’economia rurale e la lotta allo spopolamento, ma garantisce anche elevati livelli di tracciabilità e qualità del prodotto.

    La richiesta di un prezzo di entrata minimo di 1 euro/kg, adeguato ai costi effettivi e all’indice dei prezzi al consumo (IPC) attuale, rappresenta un tentativo di proteggere il settore da un collasso imminente. La questione è stata sollevata in più occasioni, evidenziando la crescente frustrazione del settore per la presunta inerzia delle autorità europee.

    L’importanza della questione è confermata anche dal recente dibattito in un panel della Commissione Europea, che ha messo in luce come, nonostante un lieve aumento dei prezzi all’origine, la pressione delle importazioni stia destabilizzando il mercato europeo. L’attuale situazione, con importazioni che raggiungono livelli record, mette in discussione la sostenibilità economica dei coltivatori europei, i cui margini di profitto sono sotto pressione a causa dei costi di produzione elevati e della forte concorrenza esterna. La domanda, sempre più sensibile al prezzo, accentua ulteriormente la sfida per i produttori locali.

  • Succo d’arancia brasiliano: ricavi record, ma esportazioni in calo

    Succo d’arancia brasiliano: ricavi record, ma esportazioni in calo

    Nonostante un volume di esportazioni storicamente basso, l’industria brasiliana del succo d’arancia ha raggiunto un record di ricavi nella stagione 2024-2025. A rivelarlo è il Centro brasiliano per gli studi avanzati di economia applicata (CEPEA), che ha analizzato un andamento di mercato peculiare, dettato da una scarsa offerta e prezzi alle stelle.

    Secondo il CEPEA, la produzione di arance di alta qualità in Brasile è stata limitata, rendendo difficile per l’industria soddisfare gli standard richiesti dai consumatori internazionali. La conseguenza diretta è stata un forte aumento dei prezzi sul mercato globale. Tra luglio 2024 e giugno 2025, le esportazioni hanno toccato quasi 777.000 tonnellate, segnando un calo del 22,7% rispetto alla stagione precedente e rappresentando la quantità più bassa dal 1997. Tuttavia, i ricavi sono aumentati del 28,4% rispetto al 2023-2024, raggiungendo il picco storico di 3,48 miliardi di dollari.

    Il CEPEA ha evidenziato come, se da un lato i prezzi elevati hanno incrementato la redditività per i produttori, dall’altro hanno frenato i consumi, in parte a causa della qualità inferiore del prodotto disponibile.

    Per la prossima stagione 2025-2026, si prospetta un’inversione di rotta. Le spedizioni dovrebbero riprendere slancio grazie a un aumento delle scorte di succo di alta qualità e a una parziale ripresa della domanda estera. Le previsioni di Fundecitrus, pubblicate il 9 maggio, indicano un raccolto di arance di 314,6 milioni di casse nella Citrus Belt brasiliana di San Paolo e Triângulo/Sudoeste Mineiro, un incremento del 36,2% rispetto ai 230,87 milioni di casse della stagione precedente. Questo aumento è attribuibile a condizioni climatiche favorevoli, una migliore gestione dei frutteti e un maggior numero di alberi produttivi.

    Tuttavia, il quadro non è privo di incertezze. Alcuni operatori del settore temono che la domanda internazionale possa non essere stabile, influenzata dalla stagnazione dei consumi e dagli effetti ancora non definiti dell’aumento dei dazi statunitensi sui prodotti brasiliani.

  • Il Ghana prevede un calo nella produzione di cacao a causa del maltempo e delle malattie

    Il Ghana prevede un calo nella produzione di cacao a causa del maltempo e delle malattie

    COCOBOD, il principale organismo di regolamentazione del cacao in Ghana, ha annunciato che il paese potrebbe subire una moderata diminuzione della produzione a causa dell’aumento delle malattie delle piante, causato da piogge persistenti e carenza di luce solare. L’allarme arriva dopo le richieste di intervento statale da parte degli agricoltori per mitigare l’impatto delle condizioni meteorologiche avverse.

    Il Ghana, che si posiziona come il secondo produttore mondiale di cacao, ha già registrato un declino della produzione nelle stagioni precedenti. Questo calo è stato attribuito a una combinazione di fattori, tra cui le malattie, condizioni climatiche sfavorevoli e la diffusa attività di estrazione illegale dell’oro, che devasta le piantagioni e riduce i raccolti.

    La scorsa settimana, un’associazione di agricoltori ghanesi aveva già lanciato un avvertimento, segnalando che le temperature più basse, le precipitazioni eccessive e l’insufficiente esposizione solare avevano compromesso i rendimenti e incrementato il rischio di malattie fungine, come la temuta “black pod”. L’associazione ha sottolineato come questa situazione possa avere un impatto negativo sui redditi degli agricoltori e causare danni a lungo termine alle coltivazioni.

    “Abbiamo visitato 72 distretti di coltivazione del cacao e abbiamo riscontrato la presenza di funghi su diversi alberi a causa delle condizioni climatiche”, ha dichiarato un rappresentante dell’associazione.

    In risposta a queste preoccupazioni, COCOBOD ha dichiarato di aver intensificato i programmi di irrorazione di massa e di controllo delle malattie. Sebbene sia ancora prematuro fornire cifre definitive per la stagione in corso, le prime valutazioni suggeriscono un possibile calo della produzione rispetto alle previsioni iniziali. COCOBOD ha inoltre affermato di voler completare la distribuzione pianificata di fungicidi prima del periodo di raccolta principale, al fine di minimizzare le perdite di resa.

  • L’UE, potenza globale del caffè: crescono le esportazioni di prodotti lavorati e si punta ai mercati emergenti

    L’UE, potenza globale del caffè: crescono le esportazioni di prodotti lavorati e si punta ai mercati emergenti

    L’Unione Europea sta consolidando la sua posizione non solo come importatore di caffè di primo piano, ma anche come un attore cruciale nel commercio globale di caffè lavorato, in particolare caffè tostato e solubile. Il blocco vanta un saldo commerciale nettamente favorevole in questi segmenti, dimostrando una notevole capacità di aggiungere valore al caffè importato e di riesportarlo.

    Nel 2024, come analizzato nell’European Coffee Report, le esportazioni di caffè verde decaffeinato dall’UE hanno superato le importazioni di circa 46.000 tonnellate, segnando un forte recupero e rafforzando la posizione del blocco in questo segmento. Ancora più significativo è il saldo commerciale per il caffè tostato, che evidenzia il ruolo dell’UE come hub di trasformazione e fornitore globale. Le esportazioni totali di caffè tostato e solubile hanno superato in valore le importazioni di circa tre volte, a testimonianza della robustezza del settore.

    Le aziende europee di caffè tostato stanno rivolgendo la loro attenzione a mercati strategici e in rapida evoluzione come Cina e Stati Uniti. Sebbene la Cina presenti sfide notevoli a causa della sua dinamica di consumo “fuori casa”, della forte concorrenza locale e delle specifiche preferenze dei consumatori, l’UE continua a esplorare le opportunità. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, nonostante un passato calo delle esportazioni statunitensi verso l’UE, si intravede un potenziale per gli esportatori europei.

    Un’impennata sorprendente si è registrata nelle esportazioni di caffè solubile verso il Messico, schizzate a 1.194 tonnellate nel 2024, con un aumento di sette volte in un solo anno. Anche il Canada si conferma un mercato importante, assorbendo il 15,5% delle esportazioni totali di caffè solubile dell’UE nel 2024. Al contrario, le esportazioni verso la Federazione Russa hanno proseguito il loro declino, riducendosi di due terzi dal 2016 e attestandosi a 3.909 tonnellate nel 2024.

  • La crescita della domanda di cacao minaccia le foreste

    La crescita della domanda di cacao minaccia le foreste

    Il consumo di cioccolato è in costante aumento a livello globale, ma questa espansione ha un costo elevato per l’ambiente e le comunità produttrici. In nazioni come la Costa d’Avorio e il Ghana, che producono quasi il 60% del cacao mondiale, la povertà estrema spinge i coltivatori a disboscare nuove aree fertili. Di conseguenza, le foreste ivoriane, un tempo estese, sono ora ridotte a meno del 10% del territorio.

    Questa incessante ricerca di produttività ha un impatto ambientale significativo. La deforestazione contribuisce per circa il 20% alle emissioni di gas serra a livello globale, percentuale che sale a quasi il 25% nell’Africa occidentale. Le piantagioni di cacao in monocoltura sono vulnerabili a malattie e stress climatici, che negli ultimi anni hanno già causato gravi cali di produzione, come il marciume bruno.

    La riduzione dell’offerta ha portato a una vertiginosa impennata dei prezzi del cacao, che tra gennaio 2023 e gennaio 2025 sono aumentati del 365%, raggiungendo un picco storico di 12.000 dollari per tonnellata. Questo incremento si è riversato sui consumatori, con un aumento medio del 14% nel prezzo dei cioccolatini pasquali a marzo 2025.

    Oltre al degrado ambientale, le piantagioni di cacao nascondono una grave crisi umanitaria. Molti coltivatori guadagnano meno di un dollaro al giorno, costringendo le famiglie a ricorrere al lavoro minorile: si stima che oltre 800.000 bambini siano impiegati in queste coltivazioni. Nonostante i recenti aumenti di prezzo abbiano offerto un modesto sollievo, non sono sufficienti a eradicare la povertà e il lavoro minorile.

    Di fronte a queste sfide, è fondamentale ripensare il consumo di cioccolato. È importante sapere che il cioccolato fondente, nonostante la percezione di “purezza”, ha in realtà un’impronta di carbonio maggiore rispetto al cioccolato al latte o bianco a causa del suo più elevato contenuto di cacao. Sebbene le certificazioni possano essere un passo, è necessario valutarne l’affidabilità, dato che il cacao biologico, pur benefico per la biodiversità, può portare a rese inferiori e a potenziale deforestazione.

    Accanto alle scelte individuali, stanno prendendo forma iniziative politiche. Nel 2024, l’Unione Europea ha adottato nuovi regolamenti, come l’EUDR e la CS3D, che mirano a obbligare le grandi aziende a prevenire violazioni dei diritti umani e ambientali lungo le loro catene di approvvigionamento. Tuttavia, queste misure sono state parzialmente indebolite, sollevando preoccupazioni tra le organizzazioni non governative.

    Per un cioccolato più etico e sostenibile come consumatori bisogna scegliere in modo più consapevole, prestando attenzione all’origine e alle certificazioni. Ma cambiamento deve avvenire anche a livello di politiche pubbliche e grandi aziende, migliorando le condizioni di vita dei produttori e preservando le foreste.

  • Brasile e Vietnam dominano le esportazioni di caffè in Europa, l’Africa orientale emerge

    Brasile e Vietnam dominano le esportazioni di caffè in Europa, l’Africa orientale emerge

    Il mercato del caffè verde dell’Unione Europeacontinua a essere fortemente dipendente da un numero limitato di origini principali, con Brasile e Vietnam che mantengono le posizioni di leadership. Tuttavia, si osservano dinamiche interessanti che ridisegnano la mappa degli approvvigionamenti.

    Il Brasile si conferma il principale fornitore di caffè verde all’UE. Sebbene i dettagli specifici del volume non siano forniti in questo estratto, è chiaro che la sua quota di mercato rimane prevalente. Il Vietnam, specialista del caffè Robusta, rappresenta ben il 70% delle esportazioni totali di caffè verde dall’Asia verso l’UE. Le sue consegne sono state costanti, nonostante un calo complessivo della quota asiatica (escluso il Vietnam) all’8% delle importazioni di caffè verde dell’UE nel 2024.

    L’Africa emerge come una regione in crescita, con un’esportazione aggregata di poco meno di 400.000 tonnellate di caffè verde verso i paesi dell’UE nel 2024, con una quota di mercato del 13,8%. L’Uganda si è consolidata come il terzo fornitore di caffè verde all’UE, nonostante una diminuzione delle sue consegne nel 2024 (-6,3%), che segue un trend negativo iniziato nel 2023. Le esportazioni ugandesi verso l’UE hanno accumulato una riduzione del 10% dal 2022, sebbene le esportazioni complessive del paese siano aumentate a livello mondiale. Questo suggerisce un cambiamento nella base clienti dell’Uganda, con i paesi dell’UE che diventano meno rilevanti, forse anche a causa della Regolamentazione Europea sulla Deforestazione (EUDR) che spinge gli acquirenti europei a rifornirsi da paesi considerati “a basso rischio” come Brasile o Colombia. L’Uganda, leader nella produzione di caffè Robusta (80% della sua produzione), è comunque definita la “potenza del caffè in Africa”.

    L’Africa Orientale si distingue come la principale regione esportatrice di caffè in Africa. Oltre all’Uganda, le spedizioni dell’Etiopia sono aumentate in modo significativo nel 2024 (+38,5%), raggiungendo quasi 82.000 tonnellate. Nonostante questo aumento, l’Etiopia non è ancora tornata ai livelli del 2022.

    Dal Sud America, le esportazioni del Perù verso l’UE sono aumentate drasticamente nel 2024 (+32,1%), raggiungendo 109.617 tonnellate, posizionandolo come il settimo fornitore più grande. Questo aumento è attribuito a un surplus di sacchi della stagione precedente che non erano stati spediti nel 2023 per problemi logistici e speculativi. Le previsioni per il 2025 indicano un aumento della produzione peruviana, che potrebbe consolidare livelli di esportazione più elevati verso l’UE.

    In America Centrale, le esportazioni del Guatemala verso l’UE sono aumentate costantemente dal 2020, raggiungendo 34.000 tonnellate nel 2023 (+3,8%). Il Guatemala è ora l’undicesimo fornitore di caffè verde all’UE. Al contrario, il Nicaragua ha visto una diminuzione continua delle sue esportazioni verso l’UE dal 2020. Anche il Costa Rica e El Salvador hanno registrato riduzioni nelle consegne di caffè verde all’UE nel 2024. Il Messico, pur essendo tecnicamente in Nord America, si posiziona come il quindicesimo fornitore di caffè verde all’UE, con un aumento delle consegne nel 2024 (+20,2%), come riportato nell’European Coffee Report 2024/2025.

  • Importazioni di caffè verde nell’UE: la Germania guida la ripresa nel 2024

    Importazioni di caffè verde nell’UE: la Germania guida la ripresa nel 2024

    Il mercato europeo del caffè verde sta mostrando segni di ripresa nel 2024, con le importazioni totali nell’Unione Europea che hanno registrato una crescita significativa, annullando il calo del 2023. Tuttavia, i volumi rimangono al di sotto dei livelli pre-pandemici, segnalando una strada ancora lunga per un pieno recupero.

    Nel 2024, secondo l’European Coffee Report le importazioni di caffè verde della sola UE sono aumentate del 9,2% su base annua, raggiungendo i 2,90 milioni di tonnellate. Questa crescita è trainata principalmente dalla Germania, il “barometro” delle tendenze importatrici dell’UE, le cui importazioni sono balzate del 17,8% nel 2024, contribuendo per circa due terzi all’aumento complessivo del blocco. Dopo un calo del 9,6% nel 2023, le importazioni totali di caffè verde in Europa (che include anche Regno Unito, Svizzera, Norvegia e Islanda) si stimano non supereranno i 3,4 milioni di tonnellate nel 2024, ancora ben lontane dai 3,9-4,1 milioni di tonnellate registrati nel 2016 e 2017. Le importazioni sono diminuite di oltre il 18% in termini assoluti tra il 2016 e il 2024.

    Per quanto riguarda l’Europa occidentale (che comprende tutti i paesi dell’UE più Regno Unito, Svizzera, Norvegia e Islanda), le importazioni aggregate di caffè verde hanno raggiunto 3,27 milioni di tonnellate nel 2024 (+8,1% su base annua). I paesi dell’UE assorbono l’88,5% del totale delle importazioni di caffè verde in questa regione. Al di fuori dell’UE, la Svizzera si conferma il principale importatore con 0,20 milioni di tonnellate nel 2024 (+12.1% su base annua), mentre il Regno Unito ha registrato un calo del 10,7% su base annua, importando 0,14 milioni di tonnellate. La crescita della Svizzera è stata in gran parte compensata dalla diminuzione del Regno Unito, lasciando le importazioni complessive di caffè verde da questi paesi esterni all’UE quasi invariate nel 2024.

    I dati relativi all’Europa centrale e orientale sono disponibili solo per il 2022 e il 2023, e non includono più Bielorussia e Federazione Russa per mancanza di dati. La Federazione Russa, in passato, assorbiva circa due terzi delle importazioni di caffè verde in questa regione.