Il rito quotidiano del caffè al bar in Italia si avvia a superare una soglia psicologica importante: il costo di un espresso potrebbe raggiungere i 2 euro entro la fine del 2025. A segnalarlo è un recente report del Centro studi di Unimpresa, che evidenzia come il prezzo medio della tazzina sia già passato da 0,87 euro nel 2020 a oltre 1,30 euro nel 2025, con punte che hanno già toccato 1,43 euro in alcune città del Nord.
L’impennata dei costi non è dovuta a un singolo fattore, ma a una complessa combinazione di elementi lungo tutta la filiera produttiva.
- Cambiamento climatico: La siccità in Vietnam e in Brasile, che insieme producono circa la metà del caffè mondiale, hanno ridotto drasticamente i raccolti, destabilizzando l’offerta. Nel 2024, i prezzi dei chicchi grezzi sono cresciuti fino all’80%, e i futures sull’Arabica hanno toccato livelli record.
- Costi crescenti: L’aumento dei costi energetici per la torrefazione, unito al raddoppio dei noli marittimi e alle congestioni nei porti strategici, ha appesantito la logistica. L’inflazione, a sua volta, ha gonfiato i prezzi di imballaggi e manodopera, spingendo al rialzo i listini finali.
- Speculazione finanziaria: I mercati sono stati alimentati da fenomeni speculativi che hanno accentuato la volatilità. I futures del Robusta hanno superato i 4.000 dollari a tonnellata, mentre nell’agosto 2025 l’Arabica ha sfiorato i 360 dollari per libbra, con un rialzo annuo superiore al 40%.
- Nuove normative: Le recenti normative europee sulla deforestazione, pur promuovendo la sostenibilità, hanno introdotto costi aggiuntivi per la tracciabilità e le certificazioni, che vengono inevitabilmente trasferiti lungo la catena di distribuzione.
Nonostante il caffè incida per meno dell’1% sulle spese annuali delle famiglie italiane, il suo valore simbolico è enorme. È un rito quotidiano che accompagna la socialità e le pause di lavoro. Se il prezzo dovesse diventare proibitivo, si rischierebbe di percepire il caffè come un lusso, perdendo quella dimensione democratica che lo ha reso un’icona italiana nel mondo.
Per i produttori e i distributori, la sfida è quella di difendere i margini, sempre più compressi. La risposta sta nell’investire in segmenti di mercato ad alta redditività, come i caffè monoporzionati o i prodotti premium, che possono offrire ritorni fino al 60%. Non a caso, alcune aziende stanno già sperimentando alternative al caffè tradizionale, come i ceci o i semi di dattero, per ridurre la dipendenza dai raccolti tropicali e rispondere alle sfide climatiche.
Il report di Unimpresa prevede che i prezzi continueranno a salire nel corso del 2025 fino a toccare la soglia dei 2 euro a tazzina. Tuttavia, non mancano le previsioni che ipotizzano una possibile inversione di tendenza nella seconda metà dell’anno o nel 2026. L’ottimismo si basa sulla possibilità di buoni raccolti in Brasile e Colombia e su un allentamento delle tensioni sui mercati internazionali. A conferma di questa incertezza, la Banca Mondiale ha previsto per quest’anno un aumento del 50% per l’Arabica e del 25% per il Robusta, seguito però da un calo significativo tra il 9% e il 15% nel 2026.
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